Per molti anni, ho ritenuto che il modo migliore per spingermi al cambiamento fosse quello di trattarmi come il sergente Hartman di Full Metal Jacket (chi se lo ricorda?), un istruttore spietato, mai soddisfatto e spesso crudele che insultava pesantemente gli allievi per renderli delle vere e proprie macchine da guerra.
Se penso a me stesso in quegli anni, provo un profondo senso di tenerezza. Soprattutto ora che sono consapevole che ci sono molti altri modi di motivarmi e spingermi alla crescita, molto diversi da quelli spietati e iper-critici con il quale mi sono spesso relazionato a me stesso.
Durante il mio periodo di formazione all’Istituto buddista Lama Tzong Khapa di Pomaia avvenne quella che io definisco la mia “rivoluzione copernicana”: iniziai a consolidare un atteggiamento nei miei confronti decisamente diverso da quello che conoscevo. Grazie alle pratiche meditative e al lavoro con il mio gruppo di studio, iniziai ad essere più paziente ed accogliente nei miei confronti e a comprendere che tutti eravamo accomunati da sfide molto più simili di quanto lo sembrassero in apparenza.
Quando poi entrai in contatto con la teoria della Self-Compassion (auto-compassione) di Kristin Neff, tutto mi sembrò decisamente più chiaro.
Kristin Neff, psicologa e ricercatrice americana, definisce la Self-Compassion come quell’atteggiamento di amorevolezza e benevolenza nei propri confronti che ci spinge ad agire in nostro favore e che ci permette di supportarci, esattamente come farebbe un buon amico, quando affrontiamo le sfide e i dolori che la vita inevitabilmente ci propone.
Secondo Kristin Neff, la Self-Compassion si compone di tre elementi fondamentali:
- La mindfulness, cioè la capacità di essere consapevoli, senza giudizio e in modo accogliente, di come stiamo, di quali sentimenti proviamo, e di quali sensazioni abbiamo nel qui e ora.
- La gentilezza nei propri confronti, cioè la capacità di essere amorevoli e supportivi verso noi stessi, soprattutto quando attraversiamo momenti di difficoltà o affrontiamo i nostri limiti, i nostri errori e la nostra fragilità.
- La consapevolezza che, in quanto esseri umani, tutti attraversiamo momenti di difficoltà, di dolore e di prostrazione.
Ma la cosa che più mi colpì della teoria di Kristin Neff è la sua idea, comprovata da numerosi studi, secondo cui la self-compassion non è un talento individuale, ma è un’insieme di competenze che possiamo imparare.
Appresi inoltre, anche e soprattutto grazie alla pratica, che sono numerosissimi i benefici nell’essere compassionevoli nei propri confronti:
- Incremento del senso di benessere soggettivo
- Maggiore ottimismo (realistico)
- Maggiore curiosità e senso di connessione con se stessi e con gli altri
- Diminuzione dell’intensità dei sintomi di ansia e depressione
- Diminuzione della frequenza di preoccupazioni e di pensieri negativi
- Diminuzione dell’intensità della paura di fallire
Purtroppo, però, nonostante i numerosi vantaggi dell’essere gentili e compassionevoli nei propri confronti, ci sono diversi pregiudizi che ci ostacolano dal coltivare questo tipo di relazione con noi stessi e che dobbiamo affrontare, se vogliamo imparare l’arte di essere compassionevoli nei nostri confronti. Vediamoli insieme.